venerdì 17 ottobre 2014

Economia Aziendale - Parte 7

Economia Aziendale - Parte 7

Capitolo 8

Gli stakehoder e la responsabilità sociale

Nello svolgersi di un’attività d’impresa sono diversi i soggetti chiamati a finanziare, pianificare e implementare un preciso orientamento strategico; tra i diversi è facile elencare:
   gli azionisti
   gli istituti di credito
   manager
   dipendeti
   fornitori

In una logica di corretta remunerazione delle risorse investite, ciascuno di essi riceve una ricompensa commisurata alla specificità della risorsa apportata. Per raggiungere una coralità operativa, l’organizzazione dell’attività d’impresa deve garantire che tutti i soggetti coinvolti si inseriscano in un sistema basato su precisi accordi, finalizzati a rendere gli individui consapevoli che una deviazione dal proprio fine personale, a favore di un comportamento inter-soggettivo, risulta essere di mutuo interesse. Queste problematiche, generalmente, confluiscono e trovano soluzione nella definizione degli assetti strategico e istituzionale delle imprese dove, tuttavia, sono individuabili almeno due filoni di letteratura che pongono su differenti livelli le relazioni tra i portatori di capitale di rischio (shareholder) e tutte le altre categorie di soggetto (stakeholder) che contribuiscono alla realizzazione della strategia e che ricevono ricompense a fronte dei loro investimenti specifici nell’attività d’impresa. Da un lato la teoria di massimizzazione del valore per gli azionisti assegna un ruolo di supremazia al soggetto economico, dall’altro la teoria degli stakeholder propone una visione dell’impresa che pone al centro un più ampio insieme di relazioni con tutti i diversi portatori d’interesse.

La massimizzazione del valore per gli azionisti

Il primo approccio richiama la centralità dei contratti e degli incentivi come strumenti per regolare i diversi interessi e concepisce l’attività d’impresa come una serie di soggetti che negoziano e ricevono delle ricompense coerenti con le loro aspettative razionali, a fronte delle risorse di loro proprietà apportate all’impresa, e un unico soggetto economico che acquisisce i restanti diritti residuali. Il contratto dei dipendenti, per esempio, dovrebbe considerare in maniera formale la relazione tra produttività e stipendi, prevedendo che si muovano nella stessa direzione; quello con i fornitori dovrebbe disciplinare la relazione tra difetti e sconti; quello con la banca dovrebbe ottimizzare la relazione tra misura del rischio d’impresa e tasso passivo. A causa della specificità dell’investimento e del conseguente alto rischio, tutti questi portatori di fattori specifici saranno, infatti, fortemente incentivati a monitorare e, se possibile, influenzare il governo e le azioni dell’impresa per assicurarsi che la stessa possa onorare gli impegni contrattuali.

I contributi e le aspettative degli altri interlocutori sociali

La teoria degli stakeholder propone una serie di cambiamenti interni ed esterni che portino a considerare contributi e aspettative dei diversi portatori di interesse non solo nel momento negoziale di definizione della ricompensa, ma anche:
   nell’analisi dell’ambiente competitivo in cui si colloca l’impresa
   nella definizione delle strategie
   nell’implementazione delle stesse
   nell’assetto istituzionale


Alla massimizzazione del valore per gli azionisti si affianca, pertanto, la massimizzazione di contributi e ricompense per gli stakeholder. L’originalità della teoria degli stakeholder risiede, tuttavia, nell’analisi dei contributi attuali e potenziali degli stakeholder per pianificare e ricercare un vantaggio competitivo più stabile, in altre parole,nella generazione nel breve, ma soprattutto nel lungo termine, di migliori prestazioni economico-finanziarie in grado di meglio remunerare sia shareholder sia stakeholder. Nella realtà, il giusto livello di coinvolgimento degli stakeholder nella definizione della strategia d’impresa è un argomento al centro di forti e aspri dibattiti.

La teoria degli stakeholder

La struttura dei diritti di proprietà influenza il processo decisionale di un’impresa che difficilmente è nelle condizioni di controllare direttamente tutte le risorse di cui fa uso.

Stakeholder=titolari di fatto d’interessi d’impresa

   soggetti titolari di un potere d’influenza derivato dal controllo di specifiche risorse
   soggetti influenzati dall’utilizzo di specifiche risorse nei processi aziendali anche se non direttamente coinvolti

È uno stakeholder qualsiasi individuo o gruppo che può influenzare o è influenzato dal raggiungimento di un obbiettivo aziendale. Gli stakeholder,in particolare,perseguendo i propri interessi specifici attenuano il ruolo dominante del soggetto decisore.In questo complesso contesto di relazioni, i punti essenziali del partenariato tra shareholder e stakeholder, che si propone si integrare e affiancare soluzioni contrattuali, prevede di comunicare, negoziare, contrattare e gestire la relazione.

La classificazione degli stakeholder

Una definizione ristretta, viceversa, auspica l’individuazione degli stakeholder necessari per la sopravvivenza dell’impresa isolando solo quelli con una rilevanza diretta sull’economicità del core business. Quest’ultima definizione si fonda sulla pragmatica realtà delle risorse limitate a disposizione dei manager, sia in termini di tempo sia di limiti cognitivi. Mentre la visione ristretta considera solo l’interesse economico prevalente dell’impresa. È stata proposta una classificazione che sostituisce al criterio del rischio quello degli interessi, generando due gruppi omogenei di stakeholder: primari e secondari. Mentre i primi sono quei gruppi senza la cui continua partecipazione l’impresa cessa di esistere, i secondi non sono essenziali per la sua sopravvivenza diretta se sussistono tutte le relazioni dirette con il primo gruppo (i media, le associazioni di categoria, i gruppi di interesse). Di fatto, l’impresa si qualifica come un sistema di gruppi primari inserito in un network di relazioni con i gruppi secondari.

Gli stakeholder maggiormente rilevanti

Il qualsiasi Paese, tuttavia, i manager di qualsivoglia impresa, in particolare di quelle quotate, giocano un ruolo unico nella gestione di quelle relazioni, nel momento in cui le includono nel processo decisionale di allocazione delle limitate risorse aziendali in una maniera che essi percepiscono come coerente con la moltitudine di aspettative espresse da molteplici portatori d’interesse. Si è verificato, infatti, come l’identificazione e la rilevanza di ciascun stakeholder possa essere espressa quale funzione della percezione dei manager relativamente a tre specifici attributi di ogni singola relazione:
   Il potere degli stakeholder d’influenzare l’impresa
   la legittimità delle aspettative di ciascuno stakeholder
   l’urgenza delle rivendicazioni

La teoria della dipendenza da risorse suggerisce come il differenziale di potere tra i diversi gruppi di interlocutori d’impresa sia il risultato della centralità delle risorse che ciascun gruppo apporta all’impresa. La legittimità è invece una generale percezione o assunzione che determinate relazioni siano desiderabili, appropriate e opportune nel contesto sociale, normativo e valoriale in cui l’impresa si muove. L’urgenza, infine, è in grado con cui gli interlocutori sociali richiedono immediata attenzione per le proprie rivendicazioni e include sia la sensibilità temporale dei manager nella gestione relazionale sia l’importanza della singola rivendicazione nei media. La rilevanza di uno stakeholder è correlata positivamente con il numero di attributi che a esso vengono attribuiti dal manager e diverse sono le possibili combinazioni:
   solo potere: stakeholder dormiente
   solo legittimità: stakeholder discrezionale
   solo urgenza: stakeholder pressante
   potere+legittimità: stakeholder dominante
   potere+urgenza: stakeholder dipendente
   potere+urgenza+legittimità: stakeholder completo

Ne segue che i diversi gruppi di stakeholder siano a ora citati non possano trovare una collocazione univoca e assoluta in una di queste categorie. Per esempio, un intervento istituzionale che introduca uno strumento giuridico a maggiore tutela dei consumatori quali le class action che consentono delle azioni collettive contro le imprese fornitrici a seguito di difetti, disservizi o pregiudizi aumenterebbe il potere di questa categoria. Lo stesso si può affermare qualora entri come azionista di minoranza un fondo pensione attivi nel monitoraggio all’operato dei dirigenti (aumento potere e urgenza) o sentenze del giudice del lavoro favorevoli a singoli dipendenti ma potenzialmente replicabili da altri (aumento potere, urgenza e legittimità).

L’approccio agli stakeholder

La teoria degli stakeholder ha riassunto i propri contributi in 3 filoni principali:
   descrittivo
   strumentale
   normativo

In sintesi, l’approccio descrittivo osserva il passato, il presente e il futuro delle relazioni in seno alle organizzazioni, e operativamente, si risolve in corposi documenti con cui le imprese censiscono e raccontano le proprie relazioni con un ampio numero di categorie di stakeholder; pubblicazioni che sovente prendono il nome di Bilancio Sociale, ambientale e per le quali esistono autorevoli linee guida da parte di standard setters privati. L’approccio strumentale, invece, ricerca eventuali collegamenti virtuosi tra le relazioni e le prestazioni economiche-finanziarie delle organizzazioni e ha portato i manager a interrogarsi sulla relazione tra le prestazioni sociali e quelle economico-finanziarie rilevando la possibilità concreta di formulare modelli imprenditoriali in grado di sfruttare il circuito virtuoso prestazioni sociali/prestazioni economico-finanziarie. E tuttavia, opinione oramai diffusa che questo non possa avvenire in qualsiasi impresa come naturale conseguenza di un approccio superficiale e magari solo descrittivo alle relazioni con gli stakeholder, ma debba essere ricercato inserendo nella formula imprenditoriale delle fonti interdipendenze tra variabili sociali a vantaggio competitivo, valutando opportunatamente quali prodotti o quali processi possono creare valore congiuntamente per società e impresa. L’approccio normativo, infine cerca di interpretare le implicazioni fisolosofiche, morali e giuridiche delle relazioni con i diversi interlocutori valutando il coinvolgimento delle istituzioni pubbliche che può essere graduato partendo da semplici raccomandazioni, passando per l’approvazione di istituti giuridici tesi ad aumentare la rilevanza di alcuni stakeholder nelle percezioni dei manager e arrivando, infine, a obblighi di legge in specifici contesti. La molteplicità delle aspettative,dei fabbisogni informativi e delle richieste, per esempio, spesso lascia i manager nel dubbio di come organizzare efficacemente ed efficientemente le proprie relazioni mediando tra le loro preferenze individuali, le pressioni esterne e uffici di comunicazione d’impresa sempre più attrezzati per rispondere ai molteplici fabbisogni informativi,ma a costi rilevanti. Queste soluzioni di compromesso si risolvono nell’implementazione meccanica di linee guida istituzionali dedicando maggiore o minore enfasi e dettaglio alle aspettative dei diversi stakeholder, ma perdendo di vista il collegamento con la strategia dell’impresa che è l’unico comportamento in grado di generare dei vantaggi associati allo stakeholder management, da confrontare poi con i costi dello stesso.

Le strategie sociali

Il contenuto di fondo della strategia d’impresa interessa la relazione tra impresa e ambiente e le modalità con cui l’impresa cerca di fornire valore aggiunto al proprio contesto competitivo di riferimento. Ciò,avviene rapportandosi con i diversi interlocutori sociali del cui consenso, apporto, collaborazione o sostegno l’impresa necessità per svolgere la propria funzione produttiva di ricchezza. La distinzione tra obbiettivi economici e obbiettivi non economici segna la linea di confine tra la classica definizione di strategia d’impresa come sopra riportata e la definizione di una strategia sociale. Legittimazione e consenso sono gli obiettivi non economici generalmente posti alla base delle strategie sociali e proposti come propedeutici per la creazione di valore economico sostenibile nel breve come nel lungo-medio-periodo. Mentre nella shareholder view gli obiettivi sociali sono un vincolo all’obiettivo del valore per gli azionisti, nella stakeholder view questi hanno pari dignità, perché una diversa gerarchia potrebbe finire con il compromettere la creazione di valore economico-finanziario o,quantomeno, ridurne il potenziale.
Per quanto riguarda le diverse relazioni con gli stakeholder si possono gestire così:
   strategia reattiva
   strategia difensiva
   strategia accomodante
   strategia proattiva

Nel primo caso (strategia reattiva) si formulano risposte non preventivate,ma comunque all’interno di processi non casuali e strutturati che si attivano,solo quando necessario e in risposta a input esterni (crisi). Limitare i danni è invece la parola d’ordine della strategia difensiva, per esempio a fronte di risorse limitate ma sufficienti per cominciare a implementare delle azioni preventive di influenza pragmatica sui comportamenti degli stakeholder più rilevanti con una strategia accomodante, invece, i responsabili della strategia sociale interpretano e anticipano le criticità ambientali e sociali per disinnescare potenziali conflitti prima che si presentino le avvisaglie, le quali in genere, danno il via alle soluzioni reattive o difensive. La strategia proattiva, infine, ingloba nel sistema produttivo vero e proprio la consapevolezza sociale di non nuocere ad altre categorie di stakeholder e di gratificarne,per quanto possibile, il maggior numero di aspettative. I passaggi da una strategia all’altra, in sintesi, si colgono osservando a quale livello della formulazione strategica si inseriscono gli obiettivi sociali: se questi sono fattori chiave per il successo competitivo (approccio proattivo) o se questi sono una criticità e un rischio da assecondare in maniera più o meno pianificata. Si tratta, tuttavia, di azioni strategiche solo quando i benefici di queste scelte hanno, almeno sulla carta, la potenzialità di superare eventuali costi specifici.

La Responsabilità Sociale d’Impresa

La teroia degli stakeholder, nella sua prima formulazione, è un modello manageriale dai presupposti originali che propone dei costrutti teorici in aperta e positiva competizione con la teoria della massimizzazione del valore per gli azionisti. Tra le sue determinanti vi è, certamente anche una visione dell’agire imprenditoriale che si richiama all’etica e alla corretta amministrazione, da parte degli azionisti e dell’AM, di tutte le risorse che compartecipano all’intrapresa,soprattutto di quelle non di diretta e assoluta proprietà d’impresa. Nel corso degli anni il dibattito intorno a questa forte, talvolta radicale, proposta concettuale ha favorito, soprattutto nel suo approccio normativo, l’emergere del concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) enfatizza la componente etica dell’agire imprenditoriale e, di fatto, formalizza con opportuni strumenti una serie di pre-condizioni alla creazione di valore che garantiscano un oggettivo equilibrio nella relazione tra impresa e società. Per i sostenitori della stakeholder theory questa ulteriore formalizzazione della RSI non è di fatto un passaggio obbligato, in quanto una buona relazione con i diversi portatori di interessi dovrebbe generare, senza bisogno di ulteriori strumenti ed etichette, il suddetto equilibrio tra impresa e società. Il forte richiamo all’approccio normativo, tuttavia, ha fatto si che sia attori accademici sia istituzionali coniassero precise definizioni per la RSI,quali:
   le aspettative economiche, legali, etiche e discrezionali che la società ha nei confronti delle organizzazioni in un dato momento
   l’integrazione volontaria di preoccupazioni sociali ed ecologiche da parte delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate.

A fronte di definizioni così ampie e nobili, tuttavia, permane negli studi manageriali una netta distinzione tra un approccio passivo e difensivo alla RSI rispetto alla sua incorporazione nella pianificazione strategica.

La RSI reattiva

Le teorie sottostanti della RSI possono essere classificate in 4 filoni principali:
   obbligo morale
   sostenibilità
   licenza a operare
   quello che interpreta le azioni di RSI come iniziative necessarie per accrescere la reputazione aziendale, perché migliorano l’immagine dell’impresa, rafforzando il valore del marchio e incrementano complessivamente il valore aziendale.

Tutti questi filoni si focalizzano sulla tensione esistente tra impresa e società civile,cerano di soddisfare le variegate esigenze degli interlocutori d’impresa e sovente indicano come soluzione l’adozione integrata e volontaria di specifici strumenti di RSI, tra i diversi:
   l’adozione volontaria di codici di condotta ed etici
   l’adozione volontaria di regole e processi finalizzati all’ottenimento di etichette e certificazioni sociali rilasciate da organismi pubblici o privati indipendenti
   la partecipazione a partnership, forum e iniziative multi-stakeholder che sono promossi anche da attori istituzionali
   la quotazione delle proprie azioni presso indici socialmente responsabili, uniformandosi ai principi richiesti e accettando la revisione e valutazione esterna del proprio operato
   la redazione di bilanci sociali, ambientali e/o di sostenibilità

Qualora questi strumenti siano intesi come possibile mediazione del naturale conflitto tra agire imprenditoriale e benessere sociale, ne segue che sovente queste iniziative possano essere classificate come strategie sociali, difensive e accomodanti. L’esistenza di tale conflitto è, tuttavia, criticata da taluni autori i quali ritengono eccessivo il de-off che si è voluto nel corso del tempo associare alla relazione tra impresa e società civile, quasi che etica e profitto debbano necessariamente essere in contrasto.

La RSI strategica

Criticando un’eccessiva divaricazione nel pensiero manageriale tra etica d’impresa e creazione di valore economico, l’Harward Business Review propone una diversa classificazione delle iniziative riconducibili alla RSI, con l’auspicio di colmare questa distanza teorica tra bene comune e finalità d’impresa e di aiutare il management a selezionare strategie sociali maggiormente proattive. Secondo questa interpretazione, la RSI dovrebbe muovere dalla classificazione degli obiettivi non economici da integrare nel modello imprenditoriale, applicando la seguente tassonomia:
   questioni sociali generiche
   impatti sociali della catena del valore
   dimensione sociale de contesto competitivo

In primo luogo, questa classificazione ricerca i possibili punti di contatto tra benessere sociale e vantaggio competitivo aziendale, abbandonando una visione strettamente conflittuale:
   questione generica per un istituto di credito locale che,come piccola impresa di servizi finanziari, solo marginalmente è responsabile dell’inquinamento
   impatto sociale della catena del valore per un’impresa siderurgica multinazionale che regolarmente registra esternalità negative di tipo ambientali collegate alle proprie emissioni
   dimensione sociale del contesto competitivo per un’impresa integrata automobilistica i cui prodotti finali sono da diverso tempo sotto l’occhio attento di legislatori e consumatori in merito ai propri livelli inquinanti.

La rilevante importanza sociale di questa specifica tematica ambientale fa sì che questa possa e debba essere al centro di iniziative di RSI da parte di qualsiasi impresa, tuttavia, mentre per l’istituto di credito si tratterà di filantropia e iniziative etico-ambientali, l’ottica si modificherà per l’impresa siderurgica, maggiormente attiva nel contenimento dei propri scarichi inquinanti, magari in seguito a un calcolo di convenienza tra l’acquisto di certificati verdi per compensare l’inquinamento a norma di legge e l’investimento in nuovi impianti con tecnologie più avanzate e rispettose dell’ambiente esterno. La differenza tra un livello e l’altro consta nel diverso grado di integrazione tra benessere sociale e vantaggio competitivo, e al crescere di questa integrazione si riduce il potenziale conflitto tra approccio multi-stakeholder e approccio al valore per gli azionisti, perché gli investimenti in RSI divengono anche investimenti competitivi. Se per alcuni critici questa impostazione alla RSI ne svilisce i presupposti riducendola a forme di business as usual, per altri sostenitori è un passaggio inevitabile considerando come, rispetto agli anni Settanta, sia aumentato di molto il tasso di compenetrazione tra azionisti e altri stakeholder: con i fondi d’investimento e i fondi pensione che qualificano dipendenti, singoli individui e famiglie come shareholder oltre che stakeholder. La RSI riletta in chiave strategica non permette, tuttavia, di rispondere in maniera risolutiva a questi quesiti, in merito alla convergenza sociale verso strategie di delocalizzazione, internazionalizzazione e ristrutturazione. Di fronte a un futuro incerto, infatti, è sempre difficile determinare e rappresentare per tutte le categorie di stakeholder i benefici nel medio-lungo periodo di quelli che inevitabilmente si presentano come sacrifici del breve periodo. Imprese molto attive in investimenti strategici di RSI, inoltre, non sono riuscite a evitare pesanti incidenti sociali. La strada dell’integrazione tra interesse d’impresa e benessere collettivo sembra pertanto tracciata, irreversibilmente e in diversi e documentati casi mutualmente profittevole; il campo di indagine, tuttavia, è ancora ampio e aperto a ulteriori contributi.













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