Capitolo 8
Gli
stakehoder e la responsabilità sociale
Nello
svolgersi di un’attività d’impresa sono diversi i soggetti chiamati a
finanziare, pianificare e implementare un preciso orientamento strategico; tra i
diversi è facile elencare:
• gli
azionisti
• gli
istituti di credito
• manager
• dipendeti
• fornitori
In
una logica di corretta remunerazione delle risorse investite, ciascuno di essi
riceve una ricompensa commisurata alla specificità della risorsa apportata. Per
raggiungere una coralità operativa, l’organizzazione dell’attività d’impresa
deve garantire che tutti i soggetti coinvolti si inseriscano in un sistema
basato su precisi accordi, finalizzati a rendere gli individui consapevoli che
una deviazione dal proprio fine personale, a favore di un comportamento
inter-soggettivo, risulta essere di mutuo interesse. Queste problematiche, generalmente, confluiscono
e trovano soluzione nella definizione degli assetti strategico e istituzionale
delle imprese dove, tuttavia, sono individuabili almeno due filoni di letteratura
che pongono su differenti livelli le relazioni tra i portatori di capitale di
rischio (shareholder) e tutte le altre categorie di soggetto (stakeholder) che
contribuiscono alla realizzazione della strategia e che ricevono ricompense a
fronte dei loro investimenti specifici nell’attività d’impresa. Da un lato la
teoria di massimizzazione del valore per gli azionisti assegna un ruolo di
supremazia al soggetto economico, dall’altro la teoria degli stakeholder propone
una visione dell’impresa che pone al centro un più ampio insieme di relazioni
con tutti i diversi portatori d’interesse.
La
massimizzazione del valore per gli azionisti
Il
primo approccio richiama la centralità dei contratti e degli incentivi come
strumenti per regolare i diversi interessi e concepisce l’attività d’impresa
come una serie di soggetti che negoziano e ricevono delle ricompense coerenti
con le loro aspettative razionali, a fronte delle risorse di loro proprietà
apportate all’impresa, e un unico soggetto economico che acquisisce i restanti
diritti residuali. Il contratto dei dipendenti, per esempio, dovrebbe considerare
in maniera formale la relazione tra produttività e stipendi, prevedendo che si
muovano nella stessa direzione; quello con i fornitori dovrebbe disciplinare la
relazione tra difetti e sconti; quello con la banca dovrebbe ottimizzare la
relazione tra misura del rischio d’impresa e tasso passivo. A causa della
specificità dell’investimento e del conseguente alto rischio, tutti questi
portatori di fattori specifici saranno, infatti, fortemente incentivati a
monitorare e, se possibile, influenzare il governo e le azioni dell’impresa per
assicurarsi che la stessa possa onorare gli impegni contrattuali.
I
contributi e le aspettative degli altri interlocutori sociali
La
teoria degli stakeholder propone una serie di cambiamenti interni ed esterni
che portino a considerare contributi e aspettative dei diversi portatori di
interesse non solo nel momento negoziale di definizione della ricompensa, ma
anche:
• nell’analisi
dell’ambiente competitivo in cui si colloca l’impresa
• nella
definizione delle strategie
• nell’implementazione
delle stesse
• nell’assetto
istituzionale
Alla
massimizzazione del valore per gli azionisti si affianca, pertanto, la
massimizzazione di contributi e ricompense per gli stakeholder. L’originalità
della teoria degli stakeholder risiede, tuttavia, nell’analisi dei contributi
attuali e potenziali degli stakeholder per pianificare e ricercare un vantaggio
competitivo più stabile, in altre parole,nella generazione nel breve, ma
soprattutto nel lungo termine, di migliori prestazioni economico-finanziarie in
grado di meglio remunerare sia shareholder sia stakeholder. Nella realtà, il
giusto livello di coinvolgimento degli stakeholder nella definizione della
strategia d’impresa è un argomento al centro di forti e aspri dibattiti.
La
teoria degli stakeholder
La
struttura dei diritti di proprietà influenza il processo decisionale di
un’impresa che difficilmente è nelle condizioni di controllare direttamente
tutte le risorse di cui fa uso.
Stakeholder=titolari
di fatto d’interessi d’impresa
• soggetti
titolari di un potere d’influenza derivato dal controllo di specifiche risorse
• soggetti
influenzati dall’utilizzo di specifiche risorse nei processi aziendali anche se
non direttamente coinvolti
È
uno stakeholder qualsiasi individuo o gruppo che può influenzare o è influenzato
dal raggiungimento di un obbiettivo aziendale. Gli stakeholder,in
particolare,perseguendo i propri interessi specifici attenuano il ruolo
dominante del soggetto decisore.In questo complesso contesto di relazioni, i
punti essenziali del partenariato tra shareholder e stakeholder, che si propone
si integrare e affiancare soluzioni contrattuali, prevede di
comunicare, negoziare, contrattare e gestire la relazione.
La
classificazione degli stakeholder
Una
definizione ristretta, viceversa, auspica l’individuazione degli stakeholder
necessari per la sopravvivenza dell’impresa isolando solo quelli con una
rilevanza diretta sull’economicità del core business. Quest’ultima definizione
si fonda sulla pragmatica realtà delle risorse limitate a disposizione dei manager, sia
in termini di tempo sia di limiti cognitivi. Mentre la visione ristretta
considera solo l’interesse economico prevalente dell’impresa. È stata proposta
una classificazione che sostituisce al criterio del rischio quello degli
interessi, generando due gruppi omogenei di stakeholder: primari e
secondari. Mentre i primi sono quei gruppi senza la cui continua partecipazione
l’impresa cessa di esistere, i secondi non sono essenziali per la sua
sopravvivenza diretta se sussistono tutte le relazioni dirette con il primo
gruppo (i media, le associazioni di categoria, i gruppi di interesse). Di
fatto, l’impresa si qualifica come un sistema di gruppi primari inserito in un
network di relazioni con i gruppi secondari.
Gli
stakeholder maggiormente rilevanti
Il
qualsiasi Paese, tuttavia, i manager di qualsivoglia impresa, in particolare di
quelle quotate, giocano un ruolo unico nella gestione di quelle relazioni, nel
momento in cui le includono nel processo decisionale di allocazione delle
limitate risorse aziendali in una maniera che essi percepiscono come coerente
con la moltitudine di aspettative espresse da molteplici portatori
d’interesse. Si è verificato, infatti, come l’identificazione e la rilevanza di
ciascun stakeholder possa essere espressa quale funzione della percezione dei
manager relativamente a tre specifici attributi di ogni singola relazione:
• Il
potere degli stakeholder d’influenzare l’impresa
• la
legittimità delle aspettative di ciascuno stakeholder
• l’urgenza
delle rivendicazioni
La
teoria della dipendenza da risorse suggerisce come il differenziale di potere
tra i diversi gruppi di interlocutori d’impresa sia il risultato della
centralità delle risorse che ciascun gruppo apporta all’impresa. La legittimità
è invece una generale percezione o assunzione che determinate relazioni siano
desiderabili, appropriate e opportune nel contesto sociale, normativo e valoriale
in cui l’impresa si muove. L’urgenza, infine, è in grado con cui gli interlocutori
sociali richiedono immediata attenzione per le proprie rivendicazioni e include
sia la sensibilità temporale dei manager nella gestione relazionale sia
l’importanza della singola rivendicazione nei media. La rilevanza di uno
stakeholder è correlata positivamente con il numero di attributi che a esso
vengono attribuiti dal manager e diverse sono le possibili combinazioni:
• solo
potere: stakeholder dormiente
• solo
legittimità: stakeholder
discrezionale
• solo
urgenza: stakeholder pressante
• potere+legittimità:
stakeholder dominante
• potere+urgenza:
stakeholder dipendente
• potere+urgenza+legittimità:
stakeholder completo
Ne
segue che i diversi gruppi di stakeholder siano a ora citati non possano
trovare una collocazione univoca e assoluta in una di queste categorie. Per
esempio, un intervento istituzionale che introduca uno strumento giuridico a maggiore
tutela dei consumatori quali le class action che consentono delle azioni
collettive contro le imprese fornitrici a seguito di difetti, disservizi o
pregiudizi aumenterebbe il potere di questa categoria. Lo stesso si può
affermare qualora entri come azionista di minoranza un fondo pensione attivi
nel monitoraggio all’operato dei dirigenti (aumento potere e urgenza) o sentenze
del giudice del lavoro favorevoli a singoli dipendenti ma potenzialmente
replicabili da altri (aumento potere, urgenza e legittimità).
L’approccio
agli stakeholder
La
teoria degli stakeholder ha riassunto i propri contributi in 3 filoni
principali:
• descrittivo
• strumentale
• normativo
In
sintesi, l’approccio descrittivo osserva il passato, il presente e il futuro
delle relazioni in seno alle organizzazioni, e operativamente, si risolve in
corposi documenti con cui le imprese censiscono e raccontano le proprie
relazioni con un ampio numero di categorie di stakeholder; pubblicazioni che
sovente prendono il nome di Bilancio Sociale, ambientale e per le quali esistono
autorevoli linee guida da parte di standard setters privati. L’approccio
strumentale, invece, ricerca eventuali collegamenti virtuosi tra le relazioni e
le prestazioni economiche-finanziarie delle organizzazioni e ha portato i
manager a interrogarsi sulla relazione tra le prestazioni sociali e quelle
economico-finanziarie rilevando la possibilità concreta di formulare modelli
imprenditoriali in grado di sfruttare il circuito virtuoso prestazioni
sociali/prestazioni economico-finanziarie. E tuttavia, opinione oramai diffusa
che questo non possa avvenire in qualsiasi impresa come naturale conseguenza di
un approccio superficiale e magari solo descrittivo alle relazioni con gli
stakeholder, ma debba essere ricercato inserendo nella formula imprenditoriale
delle fonti interdipendenze tra variabili sociali a vantaggio
competitivo, valutando opportunatamente quali prodotti o quali processi possono
creare valore congiuntamente per società e impresa. L’approccio normativo, infine
cerca di interpretare le implicazioni fisolosofiche, morali e giuridiche delle
relazioni con i diversi interlocutori valutando il coinvolgimento delle
istituzioni pubbliche che può essere graduato partendo da semplici
raccomandazioni, passando per l’approvazione di istituti giuridici tesi ad
aumentare la rilevanza di alcuni stakeholder nelle percezioni dei manager e
arrivando, infine, a obblighi di legge in specifici contesti. La molteplicità
delle aspettative,dei fabbisogni informativi e delle richieste, per
esempio, spesso lascia i manager nel dubbio di come organizzare efficacemente ed
efficientemente le proprie relazioni mediando tra le loro preferenze
individuali, le pressioni esterne e uffici di comunicazione d’impresa sempre più
attrezzati per rispondere ai molteplici fabbisogni informativi,ma a costi
rilevanti. Queste soluzioni di compromesso si risolvono nell’implementazione
meccanica di linee guida istituzionali dedicando maggiore o minore enfasi e
dettaglio alle aspettative dei diversi stakeholder, ma perdendo di vista il
collegamento con la strategia dell’impresa che è l’unico comportamento in grado
di generare dei vantaggi associati allo stakeholder management, da confrontare
poi con i costi dello stesso.
Le
strategie sociali
Il
contenuto di fondo della strategia d’impresa interessa la relazione tra impresa
e ambiente e le modalità con cui l’impresa cerca di fornire valore aggiunto al
proprio contesto competitivo di riferimento. Ciò,avviene rapportandosi con i
diversi interlocutori sociali del cui consenso, apporto, collaborazione o sostegno
l’impresa necessità per svolgere la propria funzione produttiva di ricchezza. La
distinzione tra obbiettivi economici e obbiettivi non economici segna la linea
di confine tra la classica definizione di strategia d’impresa come sopra
riportata e la definizione di una strategia sociale. Legittimazione e consenso
sono gli obiettivi non economici generalmente posti alla base delle strategie
sociali e proposti come propedeutici per la creazione di valore economico
sostenibile nel breve come nel lungo-medio-periodo. Mentre nella shareholder
view gli obiettivi sociali sono un vincolo all’obiettivo del valore per gli
azionisti, nella stakeholder view questi hanno pari dignità, perché una diversa
gerarchia potrebbe finire con il compromettere la creazione di valore economico-finanziario
o,quantomeno, ridurne il potenziale.
Per
quanto riguarda le diverse relazioni con gli stakeholder si possono gestire
così:
• strategia
reattiva
• strategia
difensiva
• strategia
accomodante
• strategia
proattiva
Nel
primo caso (strategia reattiva) si formulano risposte non preventivate,ma
comunque all’interno di processi non casuali e strutturati che si attivano,solo
quando necessario e in risposta a input esterni (crisi). Limitare i danni è
invece la parola d’ordine della strategia difensiva, per esempio a fronte di
risorse limitate ma sufficienti per cominciare a implementare delle azioni
preventive di influenza pragmatica sui comportamenti degli stakeholder più
rilevanti con una strategia accomodante, invece, i responsabili della strategia
sociale interpretano e anticipano le criticità ambientali e sociali per
disinnescare potenziali conflitti prima che si presentino le avvisaglie, le
quali in genere, danno il via alle soluzioni reattive o difensive. La strategia
proattiva, infine, ingloba nel sistema produttivo vero e proprio la
consapevolezza sociale di non nuocere ad altre categorie di stakeholder e di
gratificarne,per quanto possibile, il maggior numero di aspettative. I passaggi
da una strategia all’altra, in sintesi, si colgono osservando a quale livello
della formulazione strategica si inseriscono gli obiettivi sociali: se questi
sono fattori chiave per il successo competitivo (approccio proattivo) o se questi
sono una criticità e un rischio da assecondare in maniera più o meno
pianificata. Si tratta, tuttavia, di azioni strategiche solo quando i benefici di
queste scelte hanno, almeno sulla carta, la potenzialità di superare eventuali
costi specifici.
La
Responsabilità Sociale d’Impresa
La
teroia degli stakeholder, nella sua prima formulazione, è un modello manageriale
dai presupposti originali che propone dei costrutti teorici in aperta e
positiva competizione con la teoria della massimizzazione del valore per gli
azionisti. Tra le sue determinanti vi è, certamente anche una visione dell’agire
imprenditoriale che si richiama all’etica e alla corretta amministrazione, da
parte degli azionisti e dell’AM, di tutte le risorse che compartecipano
all’intrapresa,soprattutto di quelle non di diretta e assoluta proprietà
d’impresa. Nel corso degli anni il dibattito intorno a questa forte, talvolta
radicale, proposta concettuale ha favorito, soprattutto nel suo approccio
normativo, l’emergere del concetto di Responsabilità Sociale
d’Impresa (RSI) enfatizza la componente etica dell’agire imprenditoriale e, di
fatto, formalizza con opportuni strumenti una serie di pre-condizioni alla
creazione di valore che garantiscano un oggettivo equilibrio nella relazione
tra impresa e società. Per i sostenitori della stakeholder theory questa
ulteriore formalizzazione della RSI non è di fatto un passaggio obbligato, in
quanto una buona relazione con i diversi portatori di interessi dovrebbe
generare, senza bisogno di ulteriori strumenti ed etichette, il suddetto
equilibrio tra impresa e società. Il forte richiamo all’approccio
normativo, tuttavia, ha fatto si che sia attori accademici sia istituzionali
coniassero precise definizioni per la RSI,quali:
• le
aspettative economiche, legali, etiche e discrezionali che la società ha nei
confronti delle organizzazioni in un dato momento
• l’integrazione
volontaria di preoccupazioni sociali ed ecologiche da parte delle imprese nelle
loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate.
A
fronte di definizioni così ampie e nobili, tuttavia, permane negli studi
manageriali una netta distinzione tra un approccio passivo e difensivo alla RSI
rispetto alla sua incorporazione nella pianificazione strategica.
La
RSI reattiva
Le
teorie sottostanti della RSI possono essere classificate in 4 filoni
principali:
• obbligo
morale
• sostenibilità
• licenza
a operare
• quello
che interpreta le azioni di RSI come iniziative necessarie per accrescere la
reputazione aziendale, perché migliorano l’immagine dell’impresa, rafforzando il
valore del marchio e incrementano complessivamente il valore aziendale.
Tutti
questi filoni si focalizzano sulla tensione esistente tra impresa e società
civile,cerano di soddisfare le variegate esigenze degli interlocutori d’impresa
e sovente indicano come soluzione l’adozione integrata e volontaria di
specifici strumenti di RSI, tra i diversi:
• l’adozione
volontaria di codici di condotta ed etici
• l’adozione
volontaria di regole e processi finalizzati all’ottenimento di etichette e
certificazioni sociali rilasciate da organismi pubblici o privati indipendenti
• la
partecipazione a partnership, forum e iniziative multi-stakeholder che sono
promossi anche da attori istituzionali
• la
quotazione delle proprie azioni presso indici socialmente
responsabili, uniformandosi ai principi richiesti e accettando la revisione e
valutazione esterna del proprio operato
• la
redazione di bilanci sociali, ambientali e/o di sostenibilità
Qualora
questi strumenti siano intesi come possibile mediazione del naturale conflitto
tra agire imprenditoriale e benessere sociale, ne segue che sovente queste
iniziative possano essere classificate come strategie sociali, difensive e
accomodanti. L’esistenza di tale conflitto è, tuttavia, criticata da taluni autori
i quali ritengono eccessivo il de-off che si è voluto nel corso del tempo
associare alla relazione tra impresa e società civile, quasi che etica e
profitto debbano necessariamente essere in contrasto.
La
RSI strategica
Criticando
un’eccessiva divaricazione nel pensiero manageriale tra etica d’impresa e
creazione di valore economico, l’Harward Business Review propone una diversa
classificazione delle iniziative riconducibili alla RSI, con l’auspicio di
colmare questa distanza teorica tra bene comune e finalità d’impresa e di
aiutare il management a selezionare strategie sociali maggiormente proattive.
Secondo questa interpretazione, la RSI dovrebbe muovere dalla classificazione
degli obiettivi non economici da integrare nel modello
imprenditoriale, applicando la seguente tassonomia:
• questioni
sociali generiche
• impatti
sociali della catena del valore
• dimensione
sociale de contesto competitivo
In
primo luogo, questa classificazione ricerca i possibili punti di contatto tra
benessere sociale e vantaggio competitivo aziendale, abbandonando una visione
strettamente conflittuale:
• questione
generica per un istituto di credito locale che,come piccola impresa di servizi
finanziari, solo marginalmente è responsabile dell’inquinamento
• impatto
sociale della catena del valore per un’impresa siderurgica multinazionale che
regolarmente registra esternalità negative di tipo ambientali collegate alle
proprie emissioni
• dimensione
sociale del contesto competitivo per un’impresa integrata automobilistica i cui
prodotti finali sono da diverso tempo sotto l’occhio attento di legislatori e
consumatori in merito ai propri livelli inquinanti.
La
rilevante importanza sociale di questa specifica tematica ambientale fa sì che
questa possa e debba essere al centro di iniziative di RSI da parte di
qualsiasi impresa, tuttavia, mentre per l’istituto di credito si tratterà di
filantropia e iniziative etico-ambientali, l’ottica si modificherà per l’impresa
siderurgica, maggiormente attiva nel contenimento dei propri scarichi
inquinanti, magari in seguito a un calcolo di convenienza tra l’acquisto di
certificati verdi per compensare l’inquinamento a norma di legge e
l’investimento in nuovi impianti con tecnologie più avanzate e rispettose
dell’ambiente esterno. La differenza tra un livello e l’altro consta nel diverso
grado di integrazione tra benessere sociale e vantaggio competitivo, e al
crescere di questa integrazione si riduce il potenziale conflitto tra approccio
multi-stakeholder e approccio al valore per gli azionisti, perché gli
investimenti in RSI divengono anche investimenti competitivi. Se per alcuni
critici questa impostazione alla RSI ne svilisce i presupposti riducendola a
forme di business as usual, per altri sostenitori è un passaggio inevitabile
considerando come, rispetto agli anni Settanta, sia aumentato di molto il tasso
di compenetrazione tra azionisti e altri stakeholder: con i fondi d’investimento
e i fondi pensione che qualificano dipendenti, singoli individui e famiglie come
shareholder oltre che stakeholder. La RSI riletta in chiave strategica non
permette, tuttavia, di rispondere in maniera risolutiva a questi quesiti, in
merito alla convergenza sociale verso strategie di delocalizzazione, internazionalizzazione
e ristrutturazione. Di fronte a un futuro incerto, infatti, è sempre difficile
determinare e rappresentare per tutte le categorie di stakeholder i benefici
nel medio-lungo periodo di quelli che inevitabilmente si presentano come sacrifici
del breve periodo. Imprese molto attive in investimenti strategici di
RSI, inoltre, non sono riuscite a evitare pesanti incidenti sociali. La strada
dell’integrazione tra interesse d’impresa e benessere collettivo sembra
pertanto tracciata, irreversibilmente e in diversi e documentati casi
mutualmente profittevole; il campo di indagine, tuttavia, è ancora ampio e aperto
a ulteriori contributi.
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